SULLA PSICOPATOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO

In questa sezione è possibile trovare una breve presentazione dei Disturbi dell’Apprendimento (Dislessia, Disortografia, Disgrafia e Discalculia) che introduce alla tematica fornendo alcune informazioni sulle caratteristiche e per indirizzare la metodologia per la diagnosi e il trattamento.

Definizione e caratteristiche dei Disturbi dell’Apprendimento

Diagnosi e trattamento dei Disturbi dell’Apprendimento

Per la diagnosi e il trattamento dei Disturbi Specifici di Apprendimento sono disponibili per il download, le nuove Raccomandazioni da utilizzare per la pratica clinica elaborate nell’ambito della Consensus Conference da ben 10 associazioni e società di professionisti esperti di questi problemi.

 

Per il Deficit di Attenzione ed Iperattività si consiglia invece di far riferimento alla Linee Guida elaborate della Sinpia. Linee Guida SINPIA sul Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività

Viene presentato infine un piccolo contributo per delineare le caratteristiche delle difficoltà di studio. Caratteristiche delle difficoltà di studio

DOMANDE FREQUENTI

L’intelligenza non è legata in alcun modo alla dislessia, come attestano le prestazioni brillanti e di successo di alcuni dislessici, come A. Einstein, G. Patton, J. Irving, C. Schwab e N. Negroponte, anzi la definizione clinica prevede un quadro di intelligenza nella norma.

Poiché si tratta di un Disturbo a base neurologica, ma anche in considerazione dei controlli longitudinali fatti su gruppi di soggetti dislessici, vi è ampio consenso che il Disturbo permane anche nell’adulto: anche se molti dislessici imparano a leggere correttamente, continuano al leggere lentamente ed in modo non automatico.

Il termine dislessia, è utilizzato ancora oggi in ambito clinico ed è storicamente il primo che ha indicato la presenza del disturbo dopo la sua scoperta (inizialmente indicato come “cecità verbale”). In realtà è oggi sostituito più propriamente con “Disturbo Specifico della Lettura / della Scrittura”, come previsto dai manuali diagnostici attualmente in uso.

E’ oggi opinione diffusa tra i clinici dello sviluppo che un dislessico evolutivo, molto facilmente, possa incontrare specifiche difficoltà nell’area del numero e/o nell’ortografia; tuttavia, anche se di fatto questa eventualità ha un’elevata probabilità di verificarsi, in realtà è del tutto possibile incontrare un dislessico evolutivo senza altri problemi d’apprendimento, oppure è possibile individuare un bambino con difficoltà nell’area del numero che non è dislessico.

E’ ormai universalmente accettato che i Disturbi Specifici di Apprendimento hanno origine biologica: ciò è stato evidenziato soprattutto con l’avvento di particolari tecniche di indagine, come le neuroimmagini e la risonanza magnetica funzionale. Inoltre, studi condotti su soggetti gemelli mono e dizigoti confermerebbero il ruolo del fattore genetico nella dislessia evolutiva.

A seconda delle ricerche la probabilità che un genitore dislessico abbia un figlio con un analogo problema è abbastanza elevata; infatti, nella popolazione di bambini con questo disturbo la familiarità è presente nell’ordine di circa il 25-30 % dei casi.

I dati di ricerca che la comunità scientifica dispone sono a favore dell’indicazione che l’intervento di trattamento (abilitazione) è un aspetto importante nell’evoluzione del Disturbo. Tuttavia, è importante ribadire (Vedi Stella, 2004 in “ Dislessia” ed. Erickson; pag. 13) che l’obiettivo dell’intervento è quello di aiutare il bambino a ridurre gli effetti del Disturbo e che l’intervento può essere collocato in tutto l’arco dello sviluppo (questa opinione è condivisa anche da altri ricercatori e clinici dell’età evolutiva).

Questo dato spesso presente in letteratura, propone uno sbilanciamento a favore dei maschi di tre o quattro a uno: ciò viene riportato anche all’interno delle ipotesi genetiche sul Disturbo (una sorta di “dimorfismo sessuale” tale per cui i maschi sarebbero più vulnerabili a questo genere di problema); non tutti gli studiosi però sono d’accordo con questi dati epidemiologici e alcuni indicherebbero in una sorta di componente psicologica pregiudiziale questa identificazione, in quanto l’effettiva incidenza del Disturbo sarebbe pressoché identica nei due sessi (cfr Shaywitz, 1997 in “Le Scienze”, 34).

Si manifesta con una persistente difficoltà nell’imparare a leggere e a scrivere, per cui generalmente il bambino non acquisisce questa competenza alla fine della prima elementare e può manifestare una lettura molto lenta, anche se abbastanza accurata, oppure lenta e ricca di errori di codifica dello stimolo. Di solito la scrittura è compromessa allo stesso modo della lettura, oppure in qualche caso può essere maggiormente conservata (in questo caso si parla di dissociazione). Il dislessico non va confuso con il “cattivo lettore” che riesce ad acquisire la competenza tecnica della lettura, senza però riuscire a guadagnare il significato di ciò che legge.

Generalmente la diagnosi di disturbo specifico di apprendimento può essere formulata da psicologi e neuropsichiatri infantili che abbiano acquisito una specifica preparazione in questo settore. I genitori dovrebbero comunque tener presente che per effettuare la diagnosi vi sono dei criteri di esculsione (es. non ci devono essere ritardo mentale; disturbo sensoriale, ecc.), ma anche dei precisi criteri di inclusione che devono essere verificati con una procedura adatta alla loro individuazione secondo il cosiddetto criterio della “discrepanza” (vedi Raccomandazioni cliniche sui DSA).

Il termine inglese “learning disabilities” è stato tradotto in italiano, dopo una indagine tra clinici e ricercatori italiani del settore, nel termine “Disturbo”; l’espressione difficoltà di apprendimento viene utilizzata per indicare talvolta una forma non grave (quindi che non soddisfa i criteri clinici per il Disturbo) di ritardo sul piano dell’apprendimento.

Quando deve esercitare i processi strumentali è indispensabile; la gran parte dei modellli di trattamento prevedono con modalità diverse la lettura ad alta voce. È importante tener presente però che per un bambino dislessico è molto faticoso leggere e pertanto ciò va proposto solo come esercizio mirato, secondo tempi e modalità ben definiti (tempi brevi e frequenti, possibilmente con esercizi scelti “ad hoc”) ed in modo diverso a seconda dell’età.
Va promossa invece in modo sempre crescente la lettura silente che favorisce la salvaguardia della comprensione.